“Per i bambini piccini è ben difficile trovare poesia, con valore d’arte,
che possa essere guadagnata da un’intima comprensione. Bisogna ricorrere a non
poesie? Ai soliti versi per bambini: “La mattina di buonora Balzerai dal letto
fuora; Di lavarti non ti incresca Viso e man con l’acqua fresca”, e simili o peggiori?
Dunque niente poesie nelle prime classi? No. Poesie anche puerili, quanto ne se
vuole, ma sempre cantate: la musica
toglie il pericolo del meccanismo accennato; centro dell’interesse è il movimento, l’espressione ritmica del
canto. Non v’è la serie verbale che si fissa e si cristalizza nelle
repetizioni, perché ritmo e parole fanno tutt’uno; e le parole toccano alla
memoria col ritmo, e da quello prendono il colorito. Questo si sa bene nei
giardini d’infanzia, nei quali la poesia cantata si accompagna assai di
frequente e assai facilmente ai vari giochi istruttivi; si dimentica troppo
spesso nelle prime classi elementari, le quali, oggi, per i nove decimi della
scolaresca, han valore quale dei giardini d’infanzia. Oltre il canti c’è però
per i bambini, anche di età tenerissima, una specie diciamo pur di poesia, ma
si dovrebbe dire di giuochi, assai adatta: la letteratura popolare offre
scioglilingua, indovinelli, ninne nanne, novellette e leggende in versi, ecc.
Tutto questo ricchissimo materiale è infantile perché è popolare: per molti
rispetti infatti queste due parole si possono considerare sinonime”
[Lombardo Radice, G. Lezioni di
didattica, Firenze, Sandron, 1951, 228-29]
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